RES IN COMMERCIO RES EXTRA COMMERCIUM

RES IN COMMERCIO RES EXTRA COMMERCIUM

Le  disposizioni  del  codice  civile  vigente,  che  parlano  di  beni  demaniali  (inusucapibili  ed inalienabili), di beni del patrimonio  indisponibile  (inusucapibili,  ma alienabili) e dei  beni del patrimonio  disponibile,  ispirandosi  al  regime  dei  beni,  anziché  sulla  loro  funzione  (cadendo anche  in  palesi  errori,  come  dimostra  il  fatto  che  le  foreste,  incluse  nel  “patrimonio indisponibile”, vengono poi considerate come rientranti nella nozione del “demanio forestale dello Stato”), hanno da tempo offuscato la summa  divisio tra res  in  commercio e res  extra commercium,  o,  se  si  preferisce  seguire  la  terminologia  di  Gaio,  tra res  in  patrimonio e res extra patrimonium, e soprattutto la stretta connessione esistente tra le res extra commercium e le res communes o publicae.

Si è perduto, in altri termini, la nozione di beni comuni, di beni cioè che appartengono a tutti, e  precisamente, secondo i punti di vista, all’umanità, al populus o  alle  città  (Municipia  o Coloniae), cioè a soggetti plurimi, o, se si preferisce, a comunità di uomini, se non di uomini ed animali, come afferma qualche giurista romano.

La presentazione dello schema di disegno di legge-delega, redatta dalla Commissione Rodotà, e presentata in data 15 febbraio 2008, riporta finalmente in primo piano la categoria dei beni comuni, distinguendoli, molto opportunamente, dai beni pubblici e dai beni privati.

I beni comuni, sono concepiti come beni naturali -beni ambientali e paesaggistici-, funzionali alle esigenze primarie dell’uomo (ai quali si affiancano i beni archeologici, evidentemente per il fatto che sono divenuti parte integrante dell’ambiente naturale dell’Italia, ed i beni culturali-artistici e storici-, certamente per il fatto che l’arte e la storia appartengono all’umanità).

I beni pubblici, sono intesi come beni creati dall’uomo per soddisfare bisogni necessari o sociali.  Ad  essi  si  affiancano  i  beni  fruttiferi,  e  quindi  commerciabili,  dello  Stato,  che, naturalmente, hanno la stessa disciplina dei beni privati. I beni privati sono considerati i beni in proprietà dei singoli.

Si  tratta  di  una  classificazione  veramente  commendevole,  che  fa  leva,  non  tanto  sulla disciplina giuridica (criterio seguito dal codice civile), ma sulla funzione del bene. Si supera così, come ha acutamente osservato Alberto Lucarelli (in “Il vento non sa leggere”, di  Francesco  Lucarelli  e  Lucia  Paura,  Napoli.  2008,  p.  170),  la  lacuna  lasciata  dalla soppressione dell’art. 811 c. c.( il quale così recitava:” I beni sono sottoposti alla disciplina dell’ordinamento corporativo in relazione alla loro funzione economica ed alle esigenze della produzione nazionale”), ad opera dell’art. 3 del decreto legislativo luogotenenziale del 14 dicembre 1944, n. 287. L’urgenza di abrogare il riferimento all’ordinamento corporativo,  ha infatti impedito al legislatore dell’epoca di accorgersi della grave soppressione del riferimento alla “funzione economica del bene”. Né al riguardo sono stati più apportati correttivi, per cui ancor oggi sono considerati beni giuridici “le cose che possono formare oggetto di un diritto” (art. 810 c. c.). Lacuna che  ha procurato immensi disagi  alla dottrina, quando si è trattato di sostenere  la  giuridicità  del  bene  ambiente,  per  la  cui  affermazione  è  stata  provvidenziale  la distinzione  del  Pugliatti tra “beni giuridici in senso proprio”: quelli cioè che possono essere oggetto  di  un  diritto,  e  “beni  giuridici  in  senso  lato”:  quelli  che  sono  oggetto  di  tutela giuridica (S. Pugliatti, Beni e cose in senso giuridico, Milano, 1962, p. 27 ss.).

Quanto alla definizione del concetto giuridico di bene comune, va tuttavia sottolineato che  il riferimento  al  criterio  della  funzione  economica  (naturale,  o  artificiale)  del  bene  per  il soddisfacimento   di   bisogni   primari   della   collettività,   e   del   suo   collegamento   a   diritti fondamentali,  va  ulteriormente  precisato  con  il  riferimento  ai  soggetti  titolari,  occorre stabilire, in altri termini, se i beni di cui si tratta appartengono all’umanità, al popolo o ad enti territoriali,  o,  semplicemente,  a  collettività  private  residenti ab  immemorabili in  luoghi determinati.  Esattamente  come  facevano  i  Romani,  i  quali,  come  sopra  si  è  accennato, distinguevano  tra res  communes  omnium, res  publicae e res  universitatis (spesso  dei Municipia o delle Coloniae)

 

Paolo Maddalena

One Response

  1. Quando si parla di bene comune si intende un benessere che va oltre agli interessi economici ,
    Questo concetto può essere considerati quando si parla di riqualificazione di un territorio o di una piccola parte della città

    Le proposte passano sempre in una continua riconversione edilizia sempre più pressante che comporta il più delle volte ca compromettere il bene comune primario,yctt4q che per me sono acqua aria terra.
    Questi beni primari vengono attaccati costantemente ,quale soluzione può dare il legislatore al cittadino comune e che non ha riferimenti ma che è molto attenti allo stravolgimento ambientale che da molti anni è in atto.

    Giancarlo

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