Un piano di ricostruzione per l'Italia, visto l'esempio della Germania

Un piano di ricostruzione per l'Italia, visto l'esempio della Germania

Mentre in Italia e in Europa il contagio corona virus diminuisce, nel resto del mondo, e specialmente in Brasile, esso divampa in modo preoccupante.

Invero l’infezione si è diffusa maggiormente in quei paesi che più hanno tardato ad adottare misure restrittive.

Lo tengano presente i negazionisti che ancora oggi incoraggiano gli italiani all’imprudenza, mentre è scientificamente accertato che da noi il virus non è stato ancora debellato e che l’apertura del traffico da una regione all’altra deve indurre tutti a una maggiore prudenza.

In Europa un progetto molto valido per la ripresa economica è stato presentato dalla Germania, la quale ha posto in primo piano l’ampliamento della domanda, abbassando l’Iva dal 19 al 16% (la cui aliquota è stata peraltro ridotta dal 7 al 5%) e concedendo un forte aiuto a imprese e famiglie.

Questo dato dovrebbe essere adottato anche dall’Italia al fine evitare troppe disparità nei confronti della espansione economica tedesca.

Quello che preoccupa molto in Italia è l’aumento vorticoso della disoccupazione, dovuta in parte ai cosiddetti “inattivi” che, colpiti da una grave sfiducia, non cercano più lavoro, e in parte da coloro che hanno perso il lavoro a causa della chiusura delle imprese.

L’Italia dunque si trova di fronte a due gravi problemi: quello di aumentare la domanda e quello di evitare che le imprese delocalizzino verso l’estero e in particolare verso i cosiddetti paradisi fiscali, dove pagano le tasse in modo enormemente inferiore rispetto a quelle italiane (vedi Mediaset e Fca).

Per aumentare la domanda, ribadiamo, in accordo con le tesi post-keynesiane, che è necessario investire in lavori strutturali che non producono merci da collocare sul mercato. In proposito, come più volte abbiamo detto, è estremamente opportuno provvedere al risanamento ambientale delle zone inquinate e alla ricostituzione dell’equilibrio idro-geologico dell’Italia.

Si tratta di progetti che impiegherebbero una massa enorme di lavoratori, i quali implementerebbero in modo cospicuo la domanda di beni primari, mettendo in moto così il volano dell’economia.

Quanto alla permanenza in Italia delle imprese, ribadiamo che di fronte a un’Unione europea che presenta molti Paesi, con a capo l’Olanda, che costituiscono paradisi fiscali, l’unica salvezza consiste nella nazionalizzazione delle fonti di produzione di ricchezza nazionale, e, in particolare, dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia e delle situazioni di monopolio (art.43 Cost.).

Causa fondamentale del nostro disastro economico è stato il ricorso alle privatizzazioni.

È effettivamente un’operazione assolutamente ignobile quella di trasformare gli Enti pubblici e le Aziende pubbliche, proprietari in nome del Popolo, degli accennati beni produttivi di ricchezza in società per azioni, scalabili da chiunque e addirittura vendibili all’estero, come accaduto, per dirne una, per le ferrovie di Italo svendute agli Stati Uniti con cospicui guadagni per la relativa società per azioni e quindi dei loro soci, che hanno ottenuto enormi guadagni sulla pelle di tutti gli italiani.

Si tenga presente che la trasformazione di un Ente o Azienda pubblica in S.p.a. da luogo a una vera e propria appropriazione indebita da parte di pochi soci di una ricchezza appartenente al Popolo, che rimane vittima di questa azione inqualificabile, convalidata per altro da leggi incostituzionali approvate dal nostro Parlamento.

Riteniamo per tanto che il programma di utilizzo dei prestiti che ci vengono dati dall’Europa deve essere diretto soprattutto per il riacquisto a favore del Popolo di questi beni di alta produttività.

Si tratta di porre al centro dell’economia il patrimonio pubblico del Popolo italiano, rottamato e dissipato tra inesperti soggetti privati e fameliche multinazionali.

A nostro avviso dovrebbe essere questo il fulcro del nostro programma di ricostruzione.

La mancata adozione di provvedimenti di questo tipo ci porta inevitabilmente alla perdita totale della nostra ricchezza nazionale e conseguentemente dei posti di lavoro, ai quali, come detto, è affidato l’ampliamento della domanda.

Discorso importante è da fare anche a proposito del debito pubblico, il quale, a causa di numerosissimi prestiti ricevuti dall’Europa, corre il rischio di divenire insostenibile e di trasferirsi in modo cospicuo sulle future generazioni.

In proposito è da osservare che il nostro debito pubblico deriva dai tassi d’interesse pagati alla speculazione del mercato generale, dopo che nel lontano 1981 il ministro del Tesoro Andreatta eliminò l’obbligo della Banca d’Italia di acquistare i buoni del Tesoro rimasti invenduti.

La speculazione non è un fatto giuridico lecito e non è in grado di produrre dei crediti. In parole povere il debito da speculazione non esiste, e sarebbe dovere del Ministro dell’Economia e delle Finanze trovare il modo per individuare questi debiti da dichiarare ingiusti e quindi inesigibili.

Secondo i calcoli degli esperti quasi tutto il debito pubblico italiano è un debito da speculazione e quindi giuridicamente inesistente.

Professor Paolo Maddalena. Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”

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One Response

  1. Va denunciata la Task Force costituita da Conte il quale delega i suoi doveri al signor Colao anzichè rivolgersi al Parlamento. Sembra che Colao & C. proporranno privatizzazioni ovunque anzichè aumentare le partecipazioni.
    Professore dobbiamo trovare il modo di far partecipare di più i miei concittadini che continuo a chiedere di partecipare

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