I tre aspetti essenziali della spaventosa crisi mondiale e italiana

I tre aspetti essenziali della spaventosa crisi mondiale e italiana

La situazione mondiale non è mai stata così densa di gravi preoccupazioni come in quest’ultimo periodo. Domina su tutto il problema del surriscaldamento del clima, con le conseguenze della desertificazione e della mancanza di acqua potabile. Cui consegue anche uno spostamento delle persone dalle zone desertificate verso quelle in condizioni naturali ancora accettabili.

Su questo punto i tentativi di accordi globali, gli unici che possono risolvere il problema, finora non hanno conseguito effetti positivi. All’ultimo vertice ONU sulla materia si sono opposti infatti a ogni accordo Cina e India.

Sicché pare che tutto il mondo resti impassibile in attesa di continui e crescenti disastri ambientali, i più importanti dei quali sono lo scioglimento dei ghiacciai dei Poli (il Polo Nord è divenuto tutto navigabile) e, per quanto ci riguarda, lo scioglimento di tutti i ghiacciai della Alpi, con la conseguente riduzione del Po a un puro rigagnolo.

Altro fenomeno mondiale che vede l’insipienza dei governanti, su come gestire la vicenda, è quello della guerra in Ucraina. Non ci vuol molto per capire che dopo la scoperta della bomba atomica, e il conseguente terribile riarmo nucleare di molti Paesi, soprattutto di USA e Russia, impedisce di risolvere le controversie internazionali con l’uso della forza, per la semplice considerazione che questa prescinde dal diritto e dalla ragione, e ineluttabilmente porta alla distruzione totale.

È dunque privo di senso parlare di vittoria bellica. E per ora stiamo assistendo soltanto a una terribile escalation che ha visto piombare sull’Ucraina 15 missili russi supersonici, che hanno mietuto vittime e distrutto la rete energetica ucraina, mettendo peraltro in serio rischio la centrale nucleare di Zaporizhzhia, con pericoli incalcolabili per l’intera umanità.

Se si tiene presente che lo strumento che muove la vita dei popoli è costituito dall’economia, si nota poi che quest’ultima ha subito un vero scombussolamento dopo che, a fine anni sessanta, si è diffusa l’idea che essa non consiste nell’economia dello scambio, ma in quella della concorrenza: una sorta di tabù divenuto un mantra indiscutibile.

Se si pensa che dopo l’ingresso della Cina nel WTO (l’Organizzazione mondiale del commercio), avvenuta l’11 dicembre 2001, si è definitivamente globalizzato il commercio mondiale, e si capisce quanto privo di razionalità sia stato fondare tutto sulla concorrenza, come avvenuto nei Trattati europei e come ancora oggi avviene in Italia con il decreto concorrenza firmato dal governo Draghi e approvato con l’ultima legge finanziaria.

La concorrenza è attuata prescindendo dalle condizioni di parità in cui essa può svolgersi ed ha comportato due strumenti di attuazione: le liberalizzazioni, e cioè l’abbandono da parte dello Stato delle proprie fonti di produzione di ricchezza, come ad esempio le rotte aeree, e in genere i servizi pubblici essenziali, e le privatizzazioni, consistenti nella svendita dell’intero enorme patrimonio industriale italiano per pochi spiccioli a favore di Stati facenti parte soprattutto della stessa Unione Europea.

Sicché la nostra economia, che era la prima in Europa, è diventata oggi l’ultima. E chi ne ha subito le perdite maggiori sono stati i lavoratori, poiché, in base al nefasto concetto di concorrenza, vietato dalla nostra Costituzione, vien meno il carattere del lavoro come fondamento della Repubblica e la relativa retribuzione non è più quella sufficiente ad assicurare ai lavoratori e alle loro famiglie una esistenza libera e dignitosa (art.36 Cost.), ma il minimo che si possa dare per diminuire i costi di produzione in regime concorrenziale.

Sulla base della concorrenza viene a essere altresì distrutto il principio di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost.), con il conseguente venire meno dello Stato sociale, sopratutto nel campo della sanità, della istruzione, della tutela del paesaggio, dell’ambiente, della biodiversità, dell’ecosistema, del patrimonio artistico e storico e così via dicendo.

Una calamità di una furia indicibile capace di distruggere dalle fondamenta l’intera struttura della nostra Repubblica, provocata dai nostri governanti che, certamente in modo inconsapevole, hanno ridotto l’Italia in una situazione di estrema povertà, con 6 milioni di persone in miseria assoluta, con la perdita di profitti delle molte aziende pubbliche privatizzate, con la perdita media dei salari del 2,9% rispetto agli importi del 1990, come si rileva dal rapporto di Milena Gabanelli in Data Room sul Corriere della Sera di lunedì 6 marzo scorso.

È su questo che bisogna discutere e non su altri argomenti che potranno essere affrontati solo in un secondo momento.

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La vicenda della tragedia di 67 migranti morti sulla spiaggia di Crotone tiene ancora banco sulla stampa

La vicenda della tragedia di 67 migranti morti sulla spiaggia di Crotone tiene ancora banco sulla stampa

La tragedia avvenuta sulle coste di Crotone ha colpito fortemente il senso di umanità che è ancora molto vivo nel Popolo italiano. Persiste davanti agli occhi di tutti quella nave fatta a pezzi sulla spiaggia con alcuni corpi senza vita. E il saluto di Mattarella alle bare delle vittime, di cui parecchi bambini, certamente non sparirà dal ricordo degli italiani.

Non si può negare che le operazioni messe in campo da questo governo, e in particolare dal ministro dell’interno Piantedosi, gettano un’ombra funesta sull’azione dell’Italia in materia di salvataggio in mare. Infatti il decreto legge 2 gennaio 2023 n.1 ha complicato molto le operazioni di salvataggio imponendo, nello stesso tempo, di raggiungere senza indugio il porto di sbarco assegnato e il completamento di formalità burocratiche che è molto difficile prendere a bordo.

Inoltre, e la cosa sembra molto grave, l’insistenza sul veloce  raggiungimento del porto assegnato implica, come è avvenuto nei fatti, la impossibilità di effettuare un secondo salvataggio dopo aver fatto il primo.

Il descritto impianto legislativo contrasta palesemente con l’articolo 10 della Costituzione e con le Convenzioni internazionali sul diritto del mare alle quali questo rinvia.

Infatti l’articolo 98 della Convenzione sul diritto del mare di Montego Bay sancisce l’obbligo degli Stati di prestare immediato soccorso a chiunque si trovi in mare in situazioni di pericolo.

Inoltre, in base a detta convenzione, ogni Stato costiero deve promuovere la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e di soccorso per tutelare la sicurezza marittima collaborando con gli Stati adiacenti.

Quanto è accaduto investe dunque, non solo gli esecutori, sui quali farà luce la magistratura, ma lo stesso impianto normativo del citato decreto legge 2 gennaio 2023 n.1.

La prova del pessimo  impianto giuridico in materia è data dal fatto che la nave Geo Barrets di Medici senza Frontiere, che poteva sbarcare in un porto più vicino, è stata sbattuta a La Spezia, senza tenere in nessun conto che i migranti a bordo di detta nave avevano già compiuto cento ore di navigazione.

E ciò è in pieno contrasto con il rispetto dei diritti umani, come affermato in un caso analogo dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 6626 del 2020.

Altrettanto è da dire per la Ocean Viking di Sos Mediterranée che è stata mandata a Ravenna e ancora per la Geo Barents che è stata spedita ad Ancona, e gli esempi potrebbero continuare.

Insomma quali che saranno i risultati dell’indagine giudiziaria in corso per quanto riguarda la sciagura di Crotone, sta di fatto che lo svolgimento di detti fatti è assolutamente riprovevole.

Quanto è accaduto impone alla maggioranza parlamentare di verificare se in questo campo il governo non sia andato per così dire fuori strada.

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Solo la trattativa porta alla pace. D’altro canto privatizzare fonti di ricchezza italiane non ha nessun senso

Solo la trattativa porta alla pace. D’altro canto privatizzare fonti di ricchezza italiane non ha nessun senso

La notizia più importante che campeggia sui media odierni riguarda l’escalation militare della guerra in Ucraina. Oramai sembrano schierati per lo scontro finale, che potrebbe avere un esito catastrofico, gli eserciti dell’oriente e dell’occidente.

Il viaggio di Biden in Europa ha dimostrato come tutti i Paesi che erano soggetti alla sovranità sovietica desiderano restare con l’occidente e vogliono essere difesi dalla Nato contro un attacco da parte della Russia.

Avevo affermato con forza che bisognava evitare la guerra con tutti i mezzi, perché la guerra non porta a nessuna soluzione che non sia la guerra stessa.

Oggi, dopo il primo anno di sangue e di rovine, siamo al punto di partenza: il dilemma è sempre quello guerra o pace. E se la pace non è raggiunta non resta che la guerra.

Insomma appare certo che, dopo l’invenzione della bomba atomica, capace di distruggere la vita sulla terra, non esiste altra via di risoluzione delle controversie internazionale se non la trattativa.

E ammettere la carneficina di giovani ucraini e russi, anche ad opera di mercenari senza coscienza, che prima di uccidere ricorrono alle torture, è inconcepibile e da evitare a qualsiasi costo.

Ripudio pertanto le soluzioni attuali e noto che non c’è più nessuno spiraglio per le trattative di pace. 

Sul piano interno sono da registrare due fatti che dimostrano ancora una volta quanto sia stata dannosa e incoerente la svendita del patrimonio pubblico italiano, mediante le privatizzazioni e le liberalizzazioni.

L’Eni era un ente pubblico economico cioè parte integrante dello Stato italiano, che agiva sul mercato portando i profitti nel bilancio dello Stato. La maledetta privatizzazione effettuata con decreto legge n.333 dell’11 luglio del 1992 ha trasformato questo pezzo di amministrazione pubblica in una S.p.A., per cui i relativi profitti vanno soltanto a quest’ultima, alla quale il Ministero delle finanze partecipa per il 30%.

Quest’anno l’Eni ha guadagnato 13,8 miliardi di euro e di questi solo il 30% va allo Stato come dividendo, mentre il resto è suddiviso fra vari azionisti prevalentemente stranieri. 

Altrettanto è da dire a proposito della costruenda rete unica per internet e telefonia, che è appetita dall’americana KKR, e che ora il governo vorrebbe che in parte appartenesse anche a Ferrovie dello Stato, che è una S.p.A. a totale capitale pubblico.

SI tratta di un settore delicatissimo che dovrebbe essere in proprietà pubblica dello Stato italiano e assolutamente non in proprietà o gestione di potentati economici stranieri.

Ma anche in questo campo domina l’idea sciagurata neoliberista delle privatizzazioni, per cui una fonte di produzione di ricchezza propria degli italiani viene ceduta ignobilmente a mano straniera.

Il fatto è che anche molti giuristi non sanno che, in base all’articolo 42, comma 1, primo alinea, della Costituzione: “la proprietà è pubblica o privata” e tutti hanno in mento soltanto la proprietà privata, ignorando l’evoluzione storica in campo proprietario della nostra gloriosa Costituzione repubblicana e democratica.

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Alcune osservazioni sulla manovra di bilancio del governo Meloni

Alcune osservazioni sulla manovra di bilancio del governo Meloni

La manovra di bilancio preventivo per il 2023, varata con disegno di legge del governo sul quale dovrà esprimersi il Parlamento, è fortemente deludente e in contrasto con le promesse elettorali di Fratelli d’Italia.

Quello che maggiormente si nota è l’assenza, in questo provvedimento, di una vera e propria manovra economica che contrasti  l’andamento negativo della situazione attuale.

Innanzitutto si tende a eliminare, ovviamente con il favore della Commissione europea, quei provvedimenti che nell’anno trascorso hanno dato una spinta alla ripresa economica, e precisamente l’eco-bonus del 110% , che ha dato lavoro a molti disoccupati, mettendo in circolazione denaro, e la eliminazione, a decorrere dal primo giugno 2023, del reddito di cittadinanza.

Questo provvedimento è fortemente lesivo degli interessi dei lavoratori sia perché  ha eliminato uno scudo contro la povertà assoluta (ha salvato da quest’ultima un milione di persone), sia perché ha diminuito una fonte di circolazione della moneta.

È possibile supporre che una manovra di tal genere sia stata voluta dalle stesse imprese, perché il reddito di cittadinanza ha costituito in pratica una soglia minima di retribuzione da parte dei datori di lavoro, altrimenti il lavoratore preferisce detto reddito all’eventuale offerta di un salario minimo.

Assurda a tal proposito appare la distinzione tra inabili al lavoro, ai quali si corrisponderebbe una sorta di sussidio, e lavoratori occupabili, cioè persone che, anziché ricevere il reddito di cittadinanza, sarebbero avviate al lavoro.

Sennonché questa operazione non tiene conto del fatto elementare che è proprio il lavoro che manca, perché, essendosi instaurato un sistema economico predatorio neoliberista, secondo il quale il lavoro è pura merce, consistente in un costo per le imprese da ridurre al massimo possibile, le relative offerte di lavoro sono diventate inaccettabili.

D’altronde è da ricordare che l’articolo 36 della Costituzione sancisce, come diritto fondamentale, una retribuzione del lavoro commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, che consenta al lavoratore e alla sua famiglia una vita libera e dignitosa.

Un compenso cioè che non può essere rimesso alle valutazioni al ribasso da parte degli imprenditori e che è stato possibile realizzare, fino all’assassinio di Aldo Moro, attraverso l’intervento dello Stato nell’economia.

Intervento dello Stato che è stato cancellato con leggi incostituzionali che hanno svenduto le fonti di produzione pubblica di ricchezza nazionale al miglior offerente, italiano o straniero che fosse.

Una vera manovra avrebbe dovuto invece predisporre gli strumenti per la nazionalizzazione delle fonti di produzione più valide e cioè dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia e delle situazioni di monopolio (art. 43 Cost.) svendute con leggi del tutto incostituzionali.

Molto negativa è anche la cosiddetta tregua fiscale, la quale contraddice il dovere di ogni cittadino di pagare le tasse in base all’articolo 53 della Costituzione. E in proposito è da sottolineare che, in virtù di questo articolo, il governo avrebbe potuto imporre alle imprese di riportare in Italia le sedi legali che hanno domiciliato all’estro.

La manovra prevede poi una serie di piccoli provvedimenti distribuiti a pioggia, a favore di vari soggetti, al fine evidente di guadagnare consensi.

Non si può non osservare che una manovra di bilancio, nella situazione deficitaria nella quale ci troviamo, avrebbe dovuto dar peso allo sviluppo economico pubblico e privato, partendo da un aumento dei salari e non puntando sull’iniziativa di singole imprese, le quali in realtà non investono più in attività produttive, ma in prodotti finanziari.

Insomma la insufficienza di questa manovra deriva dalla mancata applicazione del dinamismo produttivo imposto dalla nostra Costituzione, che resta l’unica guida per un’attività di governo che appare smarrita e senza traguardi risolutivi. 

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Nelle incertezze di una guerra che ha coinvolto l’intera Europa, enormi sono i danni all’economia italiana

Nelle incertezze di una guerra che ha coinvolto l’intera Europa, enormi sono i danni all’economia italiana

La caduta di un missile russo sul territorio polacco, che ha purtroppo ucciso due uomini, ha tenuto con il fiato sospeso il mondo intero. Poiché, in base all’articolo 5 del Trattato della Nato, un atto di aggressione contro uno dei Paesi aderenti, implica l’immediata reazione bellica da parte di tutti gli altri Paesi.

Zelensky ha sostenuto che si trattava di un missile lanciato dalla Russia, ma una commissione costituita da polacchi, statunitensi e uomini della Nato, dopo un’accurata perizia, ha accertato che il missile era stato lanciato dall’Ucraina.

Zelensky è tornato sull’argomento e ha ribadito che si è trattato di un’azione bellica della Russia, invocando ancora l’intervento della Nato. 

Come al solito, nello scontro propagandistico di due parti avverse, è difficile conoscere la realtà. Ma quanto accaduto conferma che Zelensky, ignorando le conseguenze mondiali che ciò comporta, fa di tutto per trascinare la Nato nella guerra.

Altro argomento è stata la conclusione del G20, la quale però si è limitata a condividere la necessità di aiutare l’Ucraina come Paese aggredito dalla Russia.

Il nostro Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha esaltato il suo incontro con Biden, per ribadire la nostra adesione alla politica estera statunitense, e con il Presidente cinese Xi Jinping, con il quale ha parlato di rapporti commerciali e di tutela dei diritti umani.

Per quanto riguarda le questioni interne al nostro Paese è da segnalare che il Tar Lazio ha dichiarato inammissibili i ricorsi delle imprese energetiche sulla tassazione degli extra-profitti, non per sottolineare l’incongruenza della norma molto mal scritta da parte del ministero dell’economia e delle finanze (tant’è vero che l’ENI, anziché pagare un’imposta di 1,4 miliardi calcolata sull’utile, ha versato solo 70 milioni, come imponeva la norma appena citata, calcolati sull’incremento dell’Iva), ma per affermare la propria incompetenza in materia.

Collegato all’aumento del prezzo del gas è anche l’aumento speculativo della produzione di energia alternativa, contro il quale il governo Draghi aveva sancito, con il Decreto legge Sostegni Ter, un tetto al prezzo di vendita limitatamente alle imprese che avevano ricevuto incentivi.

Viceversa Spagna e Germania hanno giustamente posto tale tetto per tutte le imprese che producono energia pulita, e su questa linea sembra voglia muoversi l’attuale governo, come ha precisato il Vice Ministro dell’economia e della finanza Maurizio Leo.

Quanto alla vexata questio dell’Alitalia (ITA), che durante la propagande elettorale la Meloni voleva nazionalizzare, c’è da dire che il nuovo Presidente del consiglio di amministrazione Antonio Turicchi, subentrato ad Altavilla, ha ripreso le trattative per la definitiva privatizzazione a favore delle compagnie estere interessate all’acquisto.

È assurdo che un settore come quello del trasporto aereo, che, ai sensi dell’articolo 43 della Costituzione, costituisce una fonte di produzione inalienabile, sia stato posto sul mercato per essere venduto a compagnie straniere, togliendo all’Italia lauti profitti e gettando sul lastrico migliaia di dipendenti, che avevano costruito la fama della nostra nobile compagnia di bandiera.

È questo il risultato dei governi neoliberisti, che pongono tutto sul mercato e ignorano, o fingono di ignorare, la nostra Costituzione e specialmente gli articoli 41, 42 e 43 della stessa.

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I migranti: un fatto ineluttabile che si vuol risolvere con piccoli e inadeguati provvedimenti

I migranti: un fatto ineluttabile che si vuol risolvere con piccoli e inadeguati provvedimenti

Il pensiero neoliberista, che ha trasformato il sistema economico globale in un sistema egoistico e predatorio, riverbera i suoi effetti anche sul tema della immigrazione, che è certamente un problema epocale che va visto nella sua interezza e non è suscettibile di provvedimenti parziali e limitati.

Esso invero deve essere studiato come un fatto inarrestabile, conseguente proprio al sistema predatorio dei Paesi occidentali più evoluti economicamente, i quali hanno sfruttato le immense ricchezze dell’Africa e hanno fatto in modo che i loro abitanti dipendessero da dittatori che mirano al loro personale interesse, calpestando i diritti fondamentali dei cittadini sottoposti al loro governo.

I responsabili di questo disastro umanitario sono pertanto coloro che agiscono sul mercato generale e coloro che ancora considerano parti dell’Africa come colonie da sfruttare.

In Italia il governo Meloni ha dimostrato di non avere piena consapevolezza del fenomeno migratorio, e, facendo leva sui più abietti sentimenti dell’animo umano, diffusi per altro in una limitata cerchia di cittadini, ha riproposto, sostenuta soprattutto dal Ministro Salvini, l’angoscioso problema della chiusura dei porti, come se un fenomeno di così grande portata potesse essere risolto con un semplice rimedio amministrativo.

Questo governo ha sbagliato in pieno: innanzitutto perché gran parte di cittadini italiani hanno un forte senso di responsabilità e di accoglienza, e in secondo luogo perché quegli stessi elettori di Fratelli d’Italia che hanno la mente oscurata dai citati principi neoliberisti sono rimasti insoddisfatti dall’esito di quanto deciso in proposito. 

Infatti il governo Meloni ha dapprima bloccato lo sbarco di 4 navi Ong, tre delle quali approdate dopo enormi difficoltà nei porti di Catania e Reggio Calabria, ha poi ritenuto, nel tentativo estremo di dare un contentino ai propri elettori, di consentire lo sbarco soltanto alle persone fortemente bisognose o ammalate, consegnando questo orribile screening ai medici del Ministero della Sanità.

I quali hanno fatto il loro dovere e hanno ritenuto che tutti gli imbarcati dovevano scendere a terra perché il rinvio di solo alcuni di essi in mare aperto e senza prospettive di salvezza avrebbe prodotto effetti fortemente nocivi sul piano psicologico-sanitario.

Come si nota la improvvida e superficiale decisione del governo Meloni si è rivolta contro gli stessi autori.

Capitolo angoscioso è anche quello che riguarda l’Unione europea, la quale ai sensi dell’articolo 80 del testo unico sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), dovrebbe agire, per quanto riguarda l’immigrazione, secondo i principi di solidarietà ed equa ripartizione dei migranti, tenuto conto anche degli aspetti economici.

La decisione di Macron di far sbarcare la quarta nave delle ONG con 241 persone a bordo, prima nel porto di Marsiglia, e poi in quello di Tolone ha suscitato in Francia la bieca reazione di Le Pen e della destra francese.

Insomma, di fronte a un fatto inarrestabile, la cupidigia umana resiste in modo illogico e alla fine autolesionista.

Da precisare, per quanto riguarda il governo italiano, che in base all’accordo di Dublino, l’Italia è tenuta ad accogliere i migranti come porto di primo ingresso provvedendo in un secondo momento a un’equa ripartizione del carico all’interno dell’UE.

In proposito la Meloni, dimostrando ancora superficialità di vedute, ha distinto causidicamente tra profughi e migranti, ponendo in evidenza che i profughi (non si sa bene cosa Ella volesse indicare con questo termine) sono soltanto il 10% del totale dei migranti.

Ella ha compiuto così un altro passo falso, perché la Convenzione di Ginevra impone il salvataggio in mare di chiunque si trovi in difficoltà e comunque prevale su tutto il principio di protezione umanitaria, principio che Ella ha già cancellato nel primo decreto legge sicurezza, sostituendolo con la vaga espressione di permessi per ragioni speciali.

Insomma l’azione governativa si svolge ancora una volta in violazione delle norme internazionali sul diritto del mare e sopratutto in violazione dell’articolo 2 della nostra Costituzione che tutela in assoluto i diritti inviolabili dell’uomo, cioè di ogni uomo a qualsiasi razza o popolo appartenga.

Il “noi tireremo dritto” della Meloni dimostra in pieno che Ella intende affidarsi a un principio che contraddice il buon governo perché si traduce in un potere illimitato di quest’ultimo senza tener conto che lo stato di diritto presuppone di sentire tutti, di ammettere i propri limiti e di osservare almeno i principi fondamentali della nostra Costituzione repubblicana e democratica.

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