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Europa e Occidente non trovano soluzioni alle crisi perché si sono posti sul binario errato della concorrenza

Europa e Occidente non trovano soluzioni alle crisi perché si sono posti sul binario errato della concorrenza

Nell’ultima riunione del Consiglio europeo è emersa innanzitutto l’erronea impostazione sul tema dei migranti. Particolarmente errata è risultata la posizione della Meloni, la quale, con una prospettiva di corto respiro, ha concentrato il problema nella lotta agli scafisti e nella necessità di mantenere i migranti nei loro Paesi, anche con respingimenti e rimpatri.

Errata è risultata, in modo macroscopico, la posizione espressa dalla Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, la quale ha ritenuto punti fermi, oltre il giustissimo obiettivo della tutela ecologica mondiale, tre obiettivi completamente sbagliati: sostenere l’Ucraina nella guerra contro la Russia, contrastare l’immigrazione e rafforzare la competitività tra i singoli e tra gli Stati.

Sostenere la guerra in Ucraina significa soltanto marciare a pie veloce verso l’olocausto totale, e l’Europa dovrebbe invece impegnarsi a sostenere un cessate il fuoco, ovviamente ammettendo che in questa situazione non possano esistere ne vinti ne vincitori, in altri termini è indispensabile cancellare nella trattativa la parola vittoria, da sostituire con le parole compromesso di pace.

Erronea è anche la posizione della Von der Leyen sulla migrazione, che è una posizione di contenimento di un fenomeno che andrà progressivamente ingrandendosi, comprendendo anche la Tunisia, oltre la Libia e i Paesi del Medio Oriente.

Per cui l’unica soluzione realistica è quella della cooperazione internazionale che implichi dei grandi sacrifici a carico degli europei (che peraltro hanno da sempre sfruttato al massimo le risorse africane), al fine di portare questi Paesi, che si trovano in condizioni di povertà assoluta, a livelli accettabili dal punto di vista economico e sociale.

Fuori di questa soluzione è agevole ritenere che entro 4/5 anni il continente africano, che secondo le statistiche arriverà presto a 3 miliardi di abitanti, non avrà difficoltà ad invadere completamente il continente europeo.

Assolutamente illogico è l’insistere della Von der Leyen sul concetto della concorrenza che è la causa unica, principale e fondamentale dell’attuale disastro economico mondiale, in quanto consente agli individui e ai Paesi economicamente più forti di ridurre in condizioni di estrema povertà gli individui e i Paesi economicamente più deboli.

Se non si capisce che il maledetto pensiero, a suo tempo espresso da Milton Friedman, di considerare l’economia non più come economia dello scambio, ma come economia della concorrenza, costituisce un imperdonabile errore che comporta l’attuazione, seguita da tutto l’Occidente, della cosiddetta ricetta dello stesso Friedman, la quale prescrive: liberalizzazioni, privatizzazioni e eliminazione dello Stato sociale. Proprio il contrario di quello che occorre.

È questo il punto essenziale da ribaltare e finché le menti dei nostri politici resteranno offuscate da questo errato mantra della concorrenza, non ci sarà nessuna possibilità di soluzione dei problemi della guerra, del clima e dell’immigrazione. Anche in questo campo l’unico modello che può aiutarci è quello sancito, per i rapporti economici, dalla nostra Costituzione repubblicana e democratica.

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Il Consiglio dei Ministri del 16 marzo ultimo scorso ha gettato la maschera. Ed è apparso il vero volto di Maja

Il Consiglio dei Ministri del 16 marzo ultimo scorso ha gettato la maschera. Ed è apparso il vero volto di Maja

Mentre l’affermazione del sistema economico predatorio neoliberista, che pone tutte le ricchezze nelle mani di privati, evitando di porre fuori commercio quei beni di preminente interesse generale, necessari per soddisfare i bisogni e i diritti fondamentali del Popolo, sta dimostrando la sua incapacità a mantenere la stabilità dei mercati, come provano i crolli bancari a catena che partono dalla Silicon Valley statunitense per arrivare a destabilizzare le banche europee e in particolare la Credit Swisse svizzera, il governo Meloni, a occhi bendati, va avanti nell’attuazione di questo malefico e distruttivo sistema economico, apertamente in contrasto con gli interessi dell’intero Popolo.

Infatti nell’importante Consiglio dei Ministri di ieri si è dato il via libera all’attuazione completa della flat tax per tutti, con una forte riduzione del prelievo fiscale, ma senza indicare con quali siano i mezzi finanziari per farvi fronte.

Si è deliberato inoltre di dare via libera al mostruoso Ponte di Messina che comporta danni incalcolabili all’ambiente, nonché alla flora e alla fauna marina, molto densa in quello Stretto.

E infine si è dato via libera all’Autonomia differenziata che distrugge in pratica l’eguaglianza economica, sociale e politica dello Stato italiano.

La presentazione di questi tre passi falsi è stata effettuata con argomenti che danno l’idea di una fiera della menzogna, e soprattutto senza tenere in minimo conto le gravissime violazioni degli intoccabili principi e diritti fondamentali della Costituzione, che vengono violati in tutte e tre le menzionate materie.

Per quanto riguarda la flat tax, la violazione riguarda decisamente il criterio della progressività del sistema tributario, sancito dall’articolo 53 Cost., nonché l’altro principio fondamentale, secondo il quale la previsione di nuove e maggiori spese (nel caso derivanti dall’attuazione della flat tax) deve indicare i mezzi per farvi fronte (art. 81 Cost.).

Per quanto riguarda il Ponte di Messina, come risulta da un numero incalcolabile di perizie tecniche, si tratta di un’opera che viola l’articolo 9 della Costituzione, principio fondamentale inderogabile, che tutela il paesaggio, il patrimonio storico artistico della nazione, la biodiversità, l’ecosistema e l’ambiente, nonché l’articolo 41 della Costituzione che tutela, contro l’iniziativa economica privata, l’ambiente e l’utilità sociale.

Ultima fortissima violazione della Costituzione è quella delle autonomie differenziate che hanno la loro origine nella incostituzionale abrogazione, da parte della legge numero 3 del 2001, di riforma del titolo V, dell’originario articolo 117 della Costituzione, secondo il quale : “la regione emana le sue leggi nei limiti fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quelle di altre regioni”.  

Una violazione che trova preciso riscontro nel terzo comma dell’articolo 116 del riformato titolo V della Costituzione, secondo il quale: “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia…possono essere attribuite ad altre regioni con leggi dello Stato”.

Norme che violano la struttura stessa dello Stato-Comunità sancito in Costituzione. E in particolare l’articolo 1, secondo il quale: “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al Popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, nonché l’articolo 5 Cost., secondo il quale: “la Repubblica è una e indivisibile”.

In sostanza quanto deciso nella citata seduta del Consiglio dei Ministri dimostra che questo governo agisce in contrasto con i principi e i diritti fondamentali dell’intero Popolo sovrano e contro, come già accennato, la struttura stessa dello Stato-Comunità.

È arrivato il momento in cui il Popolo deve far ricorso al suo diritto di resistenza contro i soprusi del governo, facendo ricorso, alla indizione, ai sensi dell’articolo 75 Cost., di un referendum popolare che abroghi gli atti legislativi, varati a seguito dell’ultimo Consiglio dei Ministri, appena verranno in essere, tenendo presente che è in gioco l’eguaglianza economica e sociale, di cui all’articolo 3 della Costituzione, e che questo governo sfacciatamente sposta sui più deboli gli oneri sociali che invece dovrebbero gravare, secondo il citato criterio della progressività, sulle classi più abbienti. 

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I tre aspetti essenziali della spaventosa crisi mondiale e italiana

I tre aspetti essenziali della spaventosa crisi mondiale e italiana

La situazione mondiale non è mai stata così densa di gravi preoccupazioni come in quest’ultimo periodo. Domina su tutto il problema del surriscaldamento del clima, con le conseguenze della desertificazione e della mancanza di acqua potabile. Cui consegue anche uno spostamento delle persone dalle zone desertificate verso quelle in condizioni naturali ancora accettabili.

Su questo punto i tentativi di accordi globali, gli unici che possono risolvere il problema, finora non hanno conseguito effetti positivi. All’ultimo vertice ONU sulla materia si sono opposti infatti a ogni accordo Cina e India.

Sicché pare che tutto il mondo resti impassibile in attesa di continui e crescenti disastri ambientali, i più importanti dei quali sono lo scioglimento dei ghiacciai dei Poli (il Polo Nord è divenuto tutto navigabile) e, per quanto ci riguarda, lo scioglimento di tutti i ghiacciai della Alpi, con la conseguente riduzione del Po a un puro rigagnolo.

Altro fenomeno mondiale che vede l’insipienza dei governanti, su come gestire la vicenda, è quello della guerra in Ucraina. Non ci vuol molto per capire che dopo la scoperta della bomba atomica, e il conseguente terribile riarmo nucleare di molti Paesi, soprattutto di USA e Russia, impedisce di risolvere le controversie internazionali con l’uso della forza, per la semplice considerazione che questa prescinde dal diritto e dalla ragione, e ineluttabilmente porta alla distruzione totale.

È dunque privo di senso parlare di vittoria bellica. E per ora stiamo assistendo soltanto a una terribile escalation che ha visto piombare sull’Ucraina 15 missili russi supersonici, che hanno mietuto vittime e distrutto la rete energetica ucraina, mettendo peraltro in serio rischio la centrale nucleare di Zaporizhzhia, con pericoli incalcolabili per l’intera umanità.

Se si tiene presente che lo strumento che muove la vita dei popoli è costituito dall’economia, si nota poi che quest’ultima ha subito un vero scombussolamento dopo che, a fine anni sessanta, si è diffusa l’idea che essa non consiste nell’economia dello scambio, ma in quella della concorrenza: una sorta di tabù divenuto un mantra indiscutibile.

Se si pensa che dopo l’ingresso della Cina nel WTO (l’Organizzazione mondiale del commercio), avvenuta l’11 dicembre 2001, si è definitivamente globalizzato il commercio mondiale, e si capisce quanto privo di razionalità sia stato fondare tutto sulla concorrenza, come avvenuto nei Trattati europei e come ancora oggi avviene in Italia con il decreto concorrenza firmato dal governo Draghi e approvato con l’ultima legge finanziaria.

La concorrenza è attuata prescindendo dalle condizioni di parità in cui essa può svolgersi ed ha comportato due strumenti di attuazione: le liberalizzazioni, e cioè l’abbandono da parte dello Stato delle proprie fonti di produzione di ricchezza, come ad esempio le rotte aeree, e in genere i servizi pubblici essenziali, e le privatizzazioni, consistenti nella svendita dell’intero enorme patrimonio industriale italiano per pochi spiccioli a favore di Stati facenti parte soprattutto della stessa Unione Europea.

Sicché la nostra economia, che era la prima in Europa, è diventata oggi l’ultima. E chi ne ha subito le perdite maggiori sono stati i lavoratori, poiché, in base al nefasto concetto di concorrenza, vietato dalla nostra Costituzione, vien meno il carattere del lavoro come fondamento della Repubblica e la relativa retribuzione non è più quella sufficiente ad assicurare ai lavoratori e alle loro famiglie una esistenza libera e dignitosa (art.36 Cost.), ma il minimo che si possa dare per diminuire i costi di produzione in regime concorrenziale.

Sulla base della concorrenza viene a essere altresì distrutto il principio di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost.), con il conseguente venire meno dello Stato sociale, sopratutto nel campo della sanità, della istruzione, della tutela del paesaggio, dell’ambiente, della biodiversità, dell’ecosistema, del patrimonio artistico e storico e così via dicendo.

Una calamità di una furia indicibile capace di distruggere dalle fondamenta l’intera struttura della nostra Repubblica, provocata dai nostri governanti che, certamente in modo inconsapevole, hanno ridotto l’Italia in una situazione di estrema povertà, con 6 milioni di persone in miseria assoluta, con la perdita di profitti delle molte aziende pubbliche privatizzate, con la perdita media dei salari del 2,9% rispetto agli importi del 1990, come si rileva dal rapporto di Milena Gabanelli in Data Room sul Corriere della Sera di lunedì 6 marzo scorso.

È su questo che bisogna discutere e non su altri argomenti che potranno essere affrontati solo in un secondo momento.

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La vicenda della tragedia di 67 migranti morti sulla spiaggia di Crotone tiene ancora banco sulla stampa

La vicenda della tragedia di 67 migranti morti sulla spiaggia di Crotone tiene ancora banco sulla stampa

La tragedia avvenuta sulle coste di Crotone ha colpito fortemente il senso di umanità che è ancora molto vivo nel Popolo italiano. Persiste davanti agli occhi di tutti quella nave fatta a pezzi sulla spiaggia con alcuni corpi senza vita. E il saluto di Mattarella alle bare delle vittime, di cui parecchi bambini, certamente non sparirà dal ricordo degli italiani.

Non si può negare che le operazioni messe in campo da questo governo, e in particolare dal ministro dell’interno Piantedosi, gettano un’ombra funesta sull’azione dell’Italia in materia di salvataggio in mare. Infatti il decreto legge 2 gennaio 2023 n.1 ha complicato molto le operazioni di salvataggio imponendo, nello stesso tempo, di raggiungere senza indugio il porto di sbarco assegnato e il completamento di formalità burocratiche che è molto difficile prendere a bordo.

Inoltre, e la cosa sembra molto grave, l’insistenza sul veloce  raggiungimento del porto assegnato implica, come è avvenuto nei fatti, la impossibilità di effettuare un secondo salvataggio dopo aver fatto il primo.

Il descritto impianto legislativo contrasta palesemente con l’articolo 10 della Costituzione e con le Convenzioni internazionali sul diritto del mare alle quali questo rinvia.

Infatti l’articolo 98 della Convenzione sul diritto del mare di Montego Bay sancisce l’obbligo degli Stati di prestare immediato soccorso a chiunque si trovi in mare in situazioni di pericolo.

Inoltre, in base a detta convenzione, ogni Stato costiero deve promuovere la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e di soccorso per tutelare la sicurezza marittima collaborando con gli Stati adiacenti.

Quanto è accaduto investe dunque, non solo gli esecutori, sui quali farà luce la magistratura, ma lo stesso impianto normativo del citato decreto legge 2 gennaio 2023 n.1.

La prova del pessimo  impianto giuridico in materia è data dal fatto che la nave Geo Barrets di Medici senza Frontiere, che poteva sbarcare in un porto più vicino, è stata sbattuta a La Spezia, senza tenere in nessun conto che i migranti a bordo di detta nave avevano già compiuto cento ore di navigazione.

E ciò è in pieno contrasto con il rispetto dei diritti umani, come affermato in un caso analogo dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 6626 del 2020.

Altrettanto è da dire per la Ocean Viking di Sos Mediterranée che è stata mandata a Ravenna e ancora per la Geo Barents che è stata spedita ad Ancona, e gli esempi potrebbero continuare.

Insomma quali che saranno i risultati dell’indagine giudiziaria in corso per quanto riguarda la sciagura di Crotone, sta di fatto che lo svolgimento di detti fatti è assolutamente riprovevole.

Quanto è accaduto impone alla maggioranza parlamentare di verificare se in questo campo il governo non sia andato per così dire fuori strada.

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Solo la trattativa porta alla pace. D’altro canto privatizzare fonti di ricchezza italiane non ha nessun senso

Solo la trattativa porta alla pace. D’altro canto privatizzare fonti di ricchezza italiane non ha nessun senso

La notizia più importante che campeggia sui media odierni riguarda l’escalation militare della guerra in Ucraina. Oramai sembrano schierati per lo scontro finale, che potrebbe avere un esito catastrofico, gli eserciti dell’oriente e dell’occidente.

Il viaggio di Biden in Europa ha dimostrato come tutti i Paesi che erano soggetti alla sovranità sovietica desiderano restare con l’occidente e vogliono essere difesi dalla Nato contro un attacco da parte della Russia.

Avevo affermato con forza che bisognava evitare la guerra con tutti i mezzi, perché la guerra non porta a nessuna soluzione che non sia la guerra stessa.

Oggi, dopo il primo anno di sangue e di rovine, siamo al punto di partenza: il dilemma è sempre quello guerra o pace. E se la pace non è raggiunta non resta che la guerra.

Insomma appare certo che, dopo l’invenzione della bomba atomica, capace di distruggere la vita sulla terra, non esiste altra via di risoluzione delle controversie internazionale se non la trattativa.

E ammettere la carneficina di giovani ucraini e russi, anche ad opera di mercenari senza coscienza, che prima di uccidere ricorrono alle torture, è inconcepibile e da evitare a qualsiasi costo.

Ripudio pertanto le soluzioni attuali e noto che non c’è più nessuno spiraglio per le trattative di pace. 

Sul piano interno sono da registrare due fatti che dimostrano ancora una volta quanto sia stata dannosa e incoerente la svendita del patrimonio pubblico italiano, mediante le privatizzazioni e le liberalizzazioni.

L’Eni era un ente pubblico economico cioè parte integrante dello Stato italiano, che agiva sul mercato portando i profitti nel bilancio dello Stato. La maledetta privatizzazione effettuata con decreto legge n.333 dell’11 luglio del 1992 ha trasformato questo pezzo di amministrazione pubblica in una S.p.A., per cui i relativi profitti vanno soltanto a quest’ultima, alla quale il Ministero delle finanze partecipa per il 30%.

Quest’anno l’Eni ha guadagnato 13,8 miliardi di euro e di questi solo il 30% va allo Stato come dividendo, mentre il resto è suddiviso fra vari azionisti prevalentemente stranieri. 

Altrettanto è da dire a proposito della costruenda rete unica per internet e telefonia, che è appetita dall’americana KKR, e che ora il governo vorrebbe che in parte appartenesse anche a Ferrovie dello Stato, che è una S.p.A. a totale capitale pubblico.

SI tratta di un settore delicatissimo che dovrebbe essere in proprietà pubblica dello Stato italiano e assolutamente non in proprietà o gestione di potentati economici stranieri.

Ma anche in questo campo domina l’idea sciagurata neoliberista delle privatizzazioni, per cui una fonte di produzione di ricchezza propria degli italiani viene ceduta ignobilmente a mano straniera.

Il fatto è che anche molti giuristi non sanno che, in base all’articolo 42, comma 1, primo alinea, della Costituzione: “la proprietà è pubblica o privata” e tutti hanno in mento soltanto la proprietà privata, ignorando l’evoluzione storica in campo proprietario della nostra gloriosa Costituzione repubblicana e democratica.

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Alcune osservazioni sulla manovra di bilancio del governo Meloni

Alcune osservazioni sulla manovra di bilancio del governo Meloni

La manovra di bilancio preventivo per il 2023, varata con disegno di legge del governo sul quale dovrà esprimersi il Parlamento, è fortemente deludente e in contrasto con le promesse elettorali di Fratelli d’Italia.

Quello che maggiormente si nota è l’assenza, in questo provvedimento, di una vera e propria manovra economica che contrasti  l’andamento negativo della situazione attuale.

Innanzitutto si tende a eliminare, ovviamente con il favore della Commissione europea, quei provvedimenti che nell’anno trascorso hanno dato una spinta alla ripresa economica, e precisamente l’eco-bonus del 110% , che ha dato lavoro a molti disoccupati, mettendo in circolazione denaro, e la eliminazione, a decorrere dal primo giugno 2023, del reddito di cittadinanza.

Questo provvedimento è fortemente lesivo degli interessi dei lavoratori sia perché  ha eliminato uno scudo contro la povertà assoluta (ha salvato da quest’ultima un milione di persone), sia perché ha diminuito una fonte di circolazione della moneta.

È possibile supporre che una manovra di tal genere sia stata voluta dalle stesse imprese, perché il reddito di cittadinanza ha costituito in pratica una soglia minima di retribuzione da parte dei datori di lavoro, altrimenti il lavoratore preferisce detto reddito all’eventuale offerta di un salario minimo.

Assurda a tal proposito appare la distinzione tra inabili al lavoro, ai quali si corrisponderebbe una sorta di sussidio, e lavoratori occupabili, cioè persone che, anziché ricevere il reddito di cittadinanza, sarebbero avviate al lavoro.

Sennonché questa operazione non tiene conto del fatto elementare che è proprio il lavoro che manca, perché, essendosi instaurato un sistema economico predatorio neoliberista, secondo il quale il lavoro è pura merce, consistente in un costo per le imprese da ridurre al massimo possibile, le relative offerte di lavoro sono diventate inaccettabili.

D’altronde è da ricordare che l’articolo 36 della Costituzione sancisce, come diritto fondamentale, una retribuzione del lavoro commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, che consenta al lavoratore e alla sua famiglia una vita libera e dignitosa.

Un compenso cioè che non può essere rimesso alle valutazioni al ribasso da parte degli imprenditori e che è stato possibile realizzare, fino all’assassinio di Aldo Moro, attraverso l’intervento dello Stato nell’economia.

Intervento dello Stato che è stato cancellato con leggi incostituzionali che hanno svenduto le fonti di produzione pubblica di ricchezza nazionale al miglior offerente, italiano o straniero che fosse.

Una vera manovra avrebbe dovuto invece predisporre gli strumenti per la nazionalizzazione delle fonti di produzione più valide e cioè dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia e delle situazioni di monopolio (art. 43 Cost.) svendute con leggi del tutto incostituzionali.

Molto negativa è anche la cosiddetta tregua fiscale, la quale contraddice il dovere di ogni cittadino di pagare le tasse in base all’articolo 53 della Costituzione. E in proposito è da sottolineare che, in virtù di questo articolo, il governo avrebbe potuto imporre alle imprese di riportare in Italia le sedi legali che hanno domiciliato all’estro.

La manovra prevede poi una serie di piccoli provvedimenti distribuiti a pioggia, a favore di vari soggetti, al fine evidente di guadagnare consensi.

Non si può non osservare che una manovra di bilancio, nella situazione deficitaria nella quale ci troviamo, avrebbe dovuto dar peso allo sviluppo economico pubblico e privato, partendo da un aumento dei salari e non puntando sull’iniziativa di singole imprese, le quali in realtà non investono più in attività produttive, ma in prodotti finanziari.

Insomma la insufficienza di questa manovra deriva dalla mancata applicazione del dinamismo produttivo imposto dalla nostra Costituzione, che resta l’unica guida per un’attività di governo che appare smarrita e senza traguardi risolutivi. 

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