Alcune osservazioni sulla manovra di bilancio del governo Meloni

Alcune osservazioni sulla manovra di bilancio del governo Meloni

La manovra di bilancio preventivo per il 2023, varata con disegno di legge del governo sul quale dovrà esprimersi il Parlamento, è fortemente deludente e in contrasto con le promesse elettorali di Fratelli d’Italia.

Quello che maggiormente si nota è l’assenza, in questo provvedimento, di una vera e propria manovra economica che contrasti  l’andamento negativo della situazione attuale.

Innanzitutto si tende a eliminare, ovviamente con il favore della Commissione europea, quei provvedimenti che nell’anno trascorso hanno dato una spinta alla ripresa economica, e precisamente l’eco-bonus del 110% , che ha dato lavoro a molti disoccupati, mettendo in circolazione denaro, e la eliminazione, a decorrere dal primo giugno 2023, del reddito di cittadinanza.

Questo provvedimento è fortemente lesivo degli interessi dei lavoratori sia perché  ha eliminato uno scudo contro la povertà assoluta (ha salvato da quest’ultima un milione di persone), sia perché ha diminuito una fonte di circolazione della moneta.

È possibile supporre che una manovra di tal genere sia stata voluta dalle stesse imprese, perché il reddito di cittadinanza ha costituito in pratica una soglia minima di retribuzione da parte dei datori di lavoro, altrimenti il lavoratore preferisce detto reddito all’eventuale offerta di un salario minimo.

Assurda a tal proposito appare la distinzione tra inabili al lavoro, ai quali si corrisponderebbe una sorta di sussidio, e lavoratori occupabili, cioè persone che, anziché ricevere il reddito di cittadinanza, sarebbero avviate al lavoro.

Sennonché questa operazione non tiene conto del fatto elementare che è proprio il lavoro che manca, perché, essendosi instaurato un sistema economico predatorio neoliberista, secondo il quale il lavoro è pura merce, consistente in un costo per le imprese da ridurre al massimo possibile, le relative offerte di lavoro sono diventate inaccettabili.

D’altronde è da ricordare che l’articolo 36 della Costituzione sancisce, come diritto fondamentale, una retribuzione del lavoro commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, che consenta al lavoratore e alla sua famiglia una vita libera e dignitosa.

Un compenso cioè che non può essere rimesso alle valutazioni al ribasso da parte degli imprenditori e che è stato possibile realizzare, fino all’assassinio di Aldo Moro, attraverso l’intervento dello Stato nell’economia.

Intervento dello Stato che è stato cancellato con leggi incostituzionali che hanno svenduto le fonti di produzione pubblica di ricchezza nazionale al miglior offerente, italiano o straniero che fosse.

Una vera manovra avrebbe dovuto invece predisporre gli strumenti per la nazionalizzazione delle fonti di produzione più valide e cioè dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia e delle situazioni di monopolio (art. 43 Cost.) svendute con leggi del tutto incostituzionali.

Molto negativa è anche la cosiddetta tregua fiscale, la quale contraddice il dovere di ogni cittadino di pagare le tasse in base all’articolo 53 della Costituzione. E in proposito è da sottolineare che, in virtù di questo articolo, il governo avrebbe potuto imporre alle imprese di riportare in Italia le sedi legali che hanno domiciliato all’estro.

La manovra prevede poi una serie di piccoli provvedimenti distribuiti a pioggia, a favore di vari soggetti, al fine evidente di guadagnare consensi.

Non si può non osservare che una manovra di bilancio, nella situazione deficitaria nella quale ci troviamo, avrebbe dovuto dar peso allo sviluppo economico pubblico e privato, partendo da un aumento dei salari e non puntando sull’iniziativa di singole imprese, le quali in realtà non investono più in attività produttive, ma in prodotti finanziari.

Insomma la insufficienza di questa manovra deriva dalla mancata applicazione del dinamismo produttivo imposto dalla nostra Costituzione, che resta l’unica guida per un’attività di governo che appare smarrita e senza traguardi risolutivi. 

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Stupore e timore generalizzato produce il primo atto con forza di legge emanato dal governo Meloni

Stupore e timore generalizzato produce il primo atto con forza di legge emanato dal governo Meloni

Il primo provvedimento con forza di legge (Decreto 31 ottobre 2022, numero 162, già entrato in vigore), emesso dal governo Meloni, è semplicemente spaventoso, perché profila nell’immaginario collettivo il probabile avvento di uno Stato di Polizia.

È difficile, se non impossibile, trovare una disposizione di legge scritta in modo peggiore di questa. Essa appare innanzitutto “imprecisa” nella descrizione della condotta vietata, la quale viene espressa dalle seguenti parole: “invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati”. Infatti non si capisce in qual maniera si debba considerare “arbitraria o non” l’entrata su detti terreni o edifici. Né è comprensibile capire quando da un “raduno” possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.

Insomma tutto è rimesso all’arbitraria valutazione degli agenti di polizia, che potrebbero, in ipotesi, ordinare lo sgombero di qualsiasi tipo di raduno.

Al riguardo è da ricordare che la Meloni ha affermato che detta disposizione debba intendersi come limitata ai rave-party, ma ciò non risulta affatto dalla interpretazione logica e sistematica della norma in questione, come prevede l’articolo 12 delle Preleggi al Codice civile.

Inoltre salta agli occhi la enorme sproporzione tra la gravità della condotta e la pena essa inflitta, una sproporzione che porta addirittura a considerare, come precisato nell’ultimo comma di detta disposizione, il divieto di riunione alla pari dei delitti per mafia. 

Tale articolo prevede che contro chi organizza o promuove la cosiddetta invasione è prevista la reclusione da 3 a 6 anni e la multa da euro 1000 a euro 10000, aggiungendo che, per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita. Altro termine, quest’ultimo, molto vago, perché lascia agli operatori di giustizia un’amplissima discrezionalità sul quantum della riduzione della pena.

Si prevede inoltre la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché di quelle cose utilizzate per realizzare le finalità dell’occupazione, che, secondo quanto detto dalla Meloni, dovrebbero consistere fondamentalmente degli strumenti musicali.

Come si nota la labilità dei termini usati non limita l’area dell’applicazione della norma e rimette tutto, come avviene negli Stati di polizia, alla valutazione degli agenti della polizia stessa.

Ne consegue che la norma in questione potrà essere utilizzata per qualsiasi tipo di raduno: per i raduni all’intero delle università (i quali per consuetudine sono stati sempre ritenuti legali), per l’occupazione di immobili da parte di senza tetto, oppure da parte di soggetti attivi che si riuniscono per motivi culturali, ovvero di riunioni all’aperto in qualche villa pubblica per festeggiare, ad esempio, un matrimonio, e così via dicendo.

Si tratta di una norma che peraltro viola i principi fondamentali della Costituzione e precisamente l’articolo 17 Cost., secondo il quale: “i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senza armi”. Ed è da notare che detta disposizione costituzionale distingue le riunioni in luogo aperto al pubblico, per le quali non è richiesto un preavviso alle autorità, dalle riunioni in luogo pubblico per le quali deve essere dato avviso alle autorità medesime. Le quali: “possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.

Sembra che detto decreto legge prescinda completamente dall’appena citato principio fondamentale della nostra Costituzione e si ponga come un pericolosissimo vulnus contro l’esercizio di diritti fondamentali, nel caso di specie il diritto di riunirsi.

Si deve dire peraltro che la norma del citato decreto legge viola anche l’articolo 16 della Costituzione, secondo il quale: “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente i qualunque parte del territorio nazionale”, precisandosi che: “nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”.

Insomma si tratta di una norma che infrange i fondamentali principi costituzionali della nostra democrazia e che comporta l’esercizio da parte di tutti i cittadini di quel diritto che Dossetti chiamava diritto di resistenza e che si concreta nel potere dei cittadini medesimi di promuovere un referendum (art. 75 Cost.)., o di esercitare il potere di iniziativa delle leggi mediante la proposta alle Camere, da parte di almeno di 50 mila elettori, di un progetto di legge redatto in articoli (art. 71 Cost.), oppure di ricorrere alla Corte costituzionale per ottenere l’annullamento del decreto legge in questione (art. 134 Cost). 

Comunque l’urgenza della situazione impone di utilizzare, quale strumento del diritto di difesa dei cittadini, un altro principio fondamentale della Costituzione. Cioè rivolgere una petizione alle Camere per chiedere l’abrogazione del provvedimento in questione (art. 50 Cost.).

Si tratta di una urgenza che deriva dal fatto che questo decreto legge mina alle fondamenta la democraticità del nostro ordinamento costituzionale, infrangendo, come si è visto, principi fondamentali e diritti fondamentali di tutti i cittadini, che sono peraltro garantiti anche dall’articolo 2 della Costituzione, secondo il quale: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (e cioè di ogni uomo), sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità,  richiede l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

Ed è proprio sulla base di doveri di solidarietà politica, economica e sociale che i cittadini, in questa triste vicenda, sono obbligati a esercitare i poteri costituzionali di resistenza che, come si è appena detto, la vigente Costituzione loro conferisce.

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Il discorso di Meloni: molte luci e oscurità completa sull’importanza della Costituzione 

Il discorso di Meloni: molte luci e oscurità completa sull’importanza della Costituzione 

Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha esposto il suo programma di governo alla Camera, merita apprezzamento per la sua sincerità, il suo coraggio e la sua fede nei valori costitutivi di una civiltà: nazione, patria e famiglia. È da aggiungere che Ella ha parlato con grande passione dell’importanza del concetto dell’italianità e finalmente ha dato una scossa contro coloro che, purtroppo da tempo, hanno assunto un carattere servile nei confronti dell’Europa e, argomento di grande rilevanza costituzionale, ha proposto l’inserimento nell’attività economica del principio dell’interesse nazionale.

Quello che manca, a mio avviso, è il riferimento alla nostra Costituzione che, se fosse stato tenuto presente, avrebbe evitato in questo discorso taluni aspetti troppo personalistici e poco fondati dal punto di vista giuridico-costituzionale.

Mi riferisco alla modifica della Costituzione per quanto riguarda le autonomie differenziate e soprattutto  per quanto riguarda l’abolizione della centralità del Parlamento (che è il sottinteso del discorso) a favore del semi-presidenzialismo alla francese.

Una forma di governo che prevede l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e la nomina, da parte di questi, del Presidente del Consiglio dei Ministri. E anche qui è sottintesa una frase che Meloni ha riferito alle imprese, ma che è riferibile anche al semi-presidenzialismo: “non disturbare chi vuole fare”, una frase che somiglia molto a quella ben nota: “non disturbate il manovratore”.

Il fatto è che Meloni si preoccupa molto più della governabilità, dimenticando la pericolosità di un uomo solo al comando (fu Mussolini a decidere che l’Italia entrasse nella seconda guerra mondiale) piuttosto che di una reale democrazia, che comporta, come sancisce l’articolo 3, comma 2, della Costituzione, la partecipazione attiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Ciò è confermato anche dal fatto che Ella assegna al Popolo soltanto il diritto di voto e quindi solo un giudizio sull’operato del governo durante i cinque anni della legislatura. 

Tutto questo si presenta come un tornare indietro sulla strada segnata dalla Costituzione, secondo la quale la Repubblica elimina gli ostacoli che “limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impedisce il libero svolgimento della persona umana”. Ed è questo, a mio avviso, il centro del problema che sfugge a Meloni. 

Ho molto apprezzato, in tema di economia, il risalto che Ella ha dato alla tutela delle infrastrutture strategiche nazionali, assicurando la proprietà pubblica delle reti sulle quali le aziende potranno offrire servizi in regime di libera concorrenza, a partire da quella della comunicazione e ho ancor più apprezzato la sua proposta di introdurre in economia la clausula di salvaguardia dell’interesse nazionale.

In proposito, tuttavia, devo osservare che Meloni non ha fatto riferimento alla Costituzione, perché è in questa che sono dettati i meccanismi per attuare dette importanti finalità.

Mi permetto di suggerire alla neo-eletta Presidente del Consiglio, la quale ha molto sottolineato il fatto che nell’ultimo decennio i nostri governi hanno peggiorato di molto la nostra situazione economica, che il problema consiste nel fatto che questi governi, con leggi costituzionalmente illegittime, hanno trasformato il sistema economico keynesiano, che contiene la chiave di volta per il funzionamento di una sana economia, distribuendo la ricchezza alla base delle piramide sociale e incrementando la domanda, con il sistema predatorio neoliberista (pienamente accolto in Europa) secondo il quale la ricchezza deve essere nelle mani di pochi e lo Stato non deve intervenire nell’economia.

Se Meloni avesse puntellato il suo discorso con questi riferimenti costituzionali avrebbe dato peso concreto alle sue parole. Ripeto a lei quello che ho sempre detto: la Costituzione non va modificata, ma applicata e soprattutto vanno applicati gli articoli 2, 3, 4, 5, 35, 41, 42, 43 e 118 ultimo comma.

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A causa della menzognera legge elettorale l’Italia sarà governata da una minoranza

A causa della menzognera legge elettorale l’Italia sarà governata da una minoranza

La vittoria della destra è frutto di un marchingegno della legge elettorale Rosatellum. La destra non ha superato il 51% dei voti come la logica richiederebbe, e ricordo che a suo tempo l’attribuzione di un premio a chi avesse superato il 51% dei voti fu dichiarato legge truffa.

Ora nella confusione determinata dal menzognero pensiero neoliberista che travolge i dati reali e confonde le idee ai cittadini, una minoranza, per l’appunto il 44% dei votanti dei partiti di centro-destra, schiaccia completamente la maggioranza degli aventi diritto al voto.

Si pensi che il partito Noi Moderati, in coalizione con il centro-destra, ha ottenuto lo 0,6% dei voti e porta in Parlamento 7 deputati e 2 senatori, mentre Unione Popolare, che ha avuto l’1,4%, non ottiene nessun seggio Parlamentare. 

Insomma il neoliberismo, che usa la menzogna come metodo, ci porta a ragionare su cose e dati che non hanno una corrispondenza nella realtà. Ed è da considerare che il partito di maggioranza è stato quello dei non votanti: si sono infatti astenuti dal voto il 36% degli aventi diritto. E quest’ultimo è davvero un dato reale sul quale bisogna ragionare.

Parlerei pertanto di una vittoria apparente del centro-destra che tuttavia riesce a incidere sulla politica nazionale come se fosse una vittoria reale. Il che mi induce a credere che chi governerà in base a detti risultati lo farà in contrasto con ciò che vuole la maggioranza dei cittadini.

Con questa vittoria apparente si può dire che il neoliberismo ha ottenuto tutto quello che voleva, come già previsto nel programma di Francesco Cosentino, e cioè il programma della P2 di Licio Gelli, il primo atto che sarà compiuto sarà un vero e proprio attentato alla Costituzione. 

Infatti la destra di Meloni, insieme con Italia Viva di Renzi e Azione di Calenda, hanno già detto che vorranno istituire il presidenzialismo, e cioè una forma di governo che viola i principi fondamentali della parte prima della Costituzione, tranciando i diritti fondamentali delle masse popolari.

Disarmante è anche la dichiarazione della Meloni, la quale ha comunicato a Zelensky il nostro aiuto per la guerra in atto, mentre la maggioranza degli italiani è contro la guerra, e inoltre ha addirittura chiesto a Draghi una stretta collaborazione per la stesura della legge di bilancio, accennando anche alla possibilità di confermare a Daniele Franco il posto di Ministro dell’Economia. E tutto questo contro la volontà degli aventi diritto al voto, i quali, in pratica, hanno, con il loro voto,  disapprovato la politica di Draghi.

Ultimo dato è che la Meloni ha assicurato l’Europa della nostra piena condiscendenza, dimenticando che questa Europa ha distrutto quasi totalmente la nostra economia attraverso le privatizzazioni e cioè il porre sul mercato il nostro demanio pubblico in modo che fosse acquistato prevalentemente dai Paesi più forti dell’Unione europea, togliendo all’Italia la possibilità di far fronte alle emergenze con fondi propri e con ulteriori indebitamenti, come avvenuto per la pandemia e per la guerra, le cui sanzioni, hanno prodotto l’aumento delle bollette del gas e dell’energia elettrica.

E Draghi è stato il primo assertore delle suddette privatizzazioni, come proclamò il 2 giugno 1992 sul panfilo Britannia ancorato a Civitavecchia, chiedendo ai rappresentanti della city londinese un forte aiuto per la realizzazione appunto della privatizzazione dei beni del nostro demanio pubblico.

E oggi sono proprio gli inglesi che offrono il loro appoggio alla Meloni per la realizzazione di queste dismissioni che ci portano alla più totale miseria.

Insomma l’intero Popolo italiano sarà governato da un governo che non esprime la volontà della maggioranza reale dei cittadini e agirà contro gli interessi dei meno abbienti, come già dimostra la dichiarazione della Meloni relativa all’abolizione del reddito di cittadinanza e alla volontà di mantenere in ordine i nostri conti pubblici, che non sono più alimentati da entrate extra-tributarie a causa delle dette privatizzazioni, ma solo da entrate tributarie, che maggiormente graveranno sulle spalle dei contribuenti.

In questo quadro quello che emerge è un Popolo che non ha voce in Parlamento, sia perché si è astenuto dal voto, non conoscendo partiti che lo difendessero, sia perché una legge incostituzionale e menzognera ha fatto apparire come reale una situazione puramente avulsa dalla realtà.

Resta solo la speranza che la nuova sinistra reale, emergente con Unione Popolare, la quale, se ci fosse stato un sistema elettorale non menzognero, avrebbe già portato in Parlamento una decina di rappresentanti, prosegua il suo cammino e trovi in coloro che si astengono il maggiore e più solido sostegno.

Paolo Maddalena 

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Gorbaciov, il mercato unico globale e le privatizzazioni della proprietà pubblica demaniale del Popolo

Gorbaciov, il mercato unico globale e le privatizzazioni della proprietà pubblica demaniale del Popolo

La stampa odierna dedica molto spazio alla scomparsa di Gorbaciov, il quale reagì contro lo stato di miseria che si era determinato in Russia, a causa della corsa agli armamenti, aprendo, con una visione pacifista, sul piano internazionale e con la distribuzione di alcuni  beni statali ai privati sul piano interno. Le buone intenzioni di Gorbaciov non si realizzarono perché Eltsin, che lo sostituì, concesse l’intera ricchezza nazionale ai più furbi, che si accaparrano bene di tutti, nel proprio personale interesse, diventando i cosiddetti oligarchi.

La situazione poi migliorò con l’azione di Putin che riportò nella proprietà statale soprattutto le fonti di energia, tra le quali ha primeggiato l’estrazione e la distribuzione del gas, che è diventato un elemento centrale della ricchezza nazionale russa, attraverso le esportazioni nei Paesi europei.

Questi avvenimenti, unitamente alla caduta del muro di Berlino, hanno portato al reale disfacimento dell’Unione delle repubbliche sovietiche (URSS) e ha aperto la strada, specialmente in Europa, ai fautori del neoliberismo, il cui obiettivo è la cessione dei beni in proprietà pubblica demaniale del Popolo ai privati, nell’illusorio convincimento che sappiano gestire meglio le risorse nazionali.

Primo attore di questa rivolta economica , che uccideva il sistema economico produttivo di stampo keynesiano, secondo il quale la ricchezza deve andare alla base della piramide sociale e il lavoro ha una funzione costruttiva dello Stato-Comunità, per sostituirlo con il sistema predatorio neoliberista, che toglie la ricchezza al popolo per donarla ai ricchi e considera il lavoro un peso per l’imprenditore, fu Mario Draghi, il quale, il 2 giugno 1992, proclamò il suo intento sul panfilo Britannia, ancorato a Civitavecchia, con 100 delegati della City londinesi, chiedendo ai presenti un forte aiuto politico.

Le sue idee erano già state in parte realizzate dal governo Ciampi-Amato, che avevano privatizzato e svenduto tutte le banche pubbliche italiane, e furono alla base della prima grande privatizzazione (che consisté nel porre sul mercato beni demaniali fuori mercato) dei nostri mezzi di produzione di ricchezza nazionale da parte di Giuliano Amato, il quale, con legge numero 333 del 1992, privatizzò l’INA (le assicurazioni, soprattutto sulla vita, molto fruttuose), l’Enel (energia elettrica), l’Eni (gas, petrolio, benzina ecc.) e l’IRI con oltre 1000 industrie e 600 mila dipendenti che furono gettati sul lastrico.

Alla svendita di questi beni provvide soprattutto Prodi, ma anche i governanti che si sono succeduti da quell’epoca fino a oggi. Si ricordi, che ancora oggi Draghi prosegue su questa via, come dimostra il Disegno di legge sulla concorrenza, che vuole porre a gara europea i servizi di taxi e di balneazione, nonché privatizzare tutti i servizi pubblici locali, compresa la gestione dell’acqua.

Il tutto è stato frutto di detta grande idiozia che ha impoverito il Popolo italiano con la dissoluzione del suo principale mezzo di sostentamento, costituito dal demanio pubblico, il quale, secondo la vigente Costituzione, deve comprendere anche i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia, le situazioni di monopolio e le industrie strategiche, in quanto di preminente interesse generale (art. 43 Cost.).

Non sfugga che a causa del nuovo sistema neoliberista l’Italia è stata costretta a indebitarsi fino al collo, sia per l’ordinaria amministrazione, sia per l’amministrazione straordinaria dovuta agli stati di emergenza determinati prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina.

Porto ad esempio, per dimostrare l’assurdità di questo sistema, la questione del gas, che è stato oggetto di una vorticosa speculazione, il cui effetto è stato l’aumento esponenziale del prezzo del gas e dell’energia elettrica.

Per arginare questo fenomeno lo Stato ha erogato, dall’inizio dell’anno, 50 miliardi di euro in aiuti a imprese e famiglie sulle bollette, sia del gas che dell’energia elettrica.

Tutto ciò non sarebbe avvenuto se Eni e Enel fossero rimaste integralmente nella proprietà pubblica demaniale del Popolo (si noti che il 30% delle azioni Eni è di proprietà di Cassa Depositi e Prestiti, cioè una S.p.A., i cui proventi vanno ai soci e non al bilancio dello Stato italiano) e cioè non fossero state privatizzate e cedute agli stranieri, i quali hanno fruito in questo periodo, a causa della speculazione, di introiti super-miliardari.

Sarebbe stato opportuno, a mio avviso, che questi denari, destinati ad alleviare l’onere del pagamento delle bollette, fossero stati investiti nell’acquisto di azioni di queste due grandi società, che ci sono sfuggite di mano a causa delle insane privatizzazioni operate dai nostri politici, nella prospettiva di riacquistare alla proprietà pubblica collettiva del Popolo queste importantissime fonti di energia, come per altro impone il citato articolo 43 della Costituzione.

A questo punto debbo osservare che la tragedia economica italiana è derivata dalla istituzione di un libero mercato, sancito dal trattato di Maastricht, che ha consentito a tutti di investire i propri capitali ovunque volessero e che soltanto l’accrescimento della proprietà pubblica demaniale del Popolo, che è inalienabile, inusucapibile, imprescrittibile e incomprimibile è in grado di mantenere nel nostro Paese.

Di Paolo Maddalena

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